La povertà educativa va affrontata sul nascere, a partire dall’asilo nido. Scuola ed educazione di qualità sono infatti la premessa affinché i giovani possano emanciparsi dalle difficoltà socio-economiche delle famiglie di provenienza. E così ridurre le disuguaglianze, assicurando la salute e il benessere che ancora mancano ad ampi strati della popolazione. (1)
La diseguaglianza educativa amplifica le difficoltà a proseguire gli studi dei bambini e ragazzi che provengono dalle famiglie più povere. Nei Paesi a reddito medio-basso (LMIC, Low-Middle Income Countries), come pure in quelli le cui economie sono più avanzate. La diseguaglianza si riconferma essere il primo ostacolo allo sviluppo degli individui, ma anche della società. I rapporti di Oxfam e Save the Children mostrano la gravità della situazione in Italia.
Save the Children ha inaugurato l’anno scolastico, in Italia, con il rapporto ‘Il miglior inizio. Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita.’ (2) Il miglior inizio – in un Paese che ancora siede ai tavoli del G7 – è a tutt’oggi una pia illusione. Un vero miraggio in alcune Regioni d’Italia, con grave divario tra Nord e Sud. A livello nazionale, solo un bambino su dieci ha possibilità di frequentare un asilo nido pubblico. Sebbene l’accesso ai servizi per la prima infanzia sia riconosciuto essere un fattore cruciale per lo sviluppo armonioso e la pedagogia dei più piccoli. Oltre a consentire ai genitori di mantenere l’occupazione e il reddito familiare, dedicando ai bambini maggiori attenzioni nel tempo libero da altri pensieri.
‘Le disuguaglianze tra i bambini, per quanto riguarda l’acquisizione di capacità e competenze, si formano già nei primissimi anni di vita, ben prima dell’ingresso a scuola. Non si tratta, tuttavia, di disuguaglianze inevitabili: frequentare l’asilo nido, così come trascorrere del tempo di qualità con i propri genitori, si dimostra un fattore determinante in grado di ridurre il gap. Eppure, in Italia, solo 1 bambino su 10 può accedere a un asilo nido pubblico, con picchi negativi che si registrano in regioni come Calabria e Campania, dove la copertura è pressoché assente e, rispettivamente, solo il 2,6% e il 3,6% dei bambini frequenta un nido pubblico. Uno scenario in cui le ripercussioni negative riguardano soprattutto i minori provenienti da famiglie economicamente svantaggiate e che hanno dunque maggiori difficoltà nell’accedere alla rete degli asili privati non convenzionati’. (Save the Children)
Un’indagine pilota – condotta in dieci città italiane tra marzo e giugno 2019 – ha coinvolto 653 bambini di età compresa tra 3 anni e mezzo e 4 anni e mezzo. I bimbi sono stati valutati sulla base di diverse capacità, come riconoscere numeri e lettere e fare confronti.
‘I bambini che hanno frequentato l’asilo nido hanno risposto in maniera appropriata a circa il 47% dei quesiti proposti a fronte del 41,6% di quelli che hanno frequentato servizi integrativi, che sono andati in anticipo alla scuola dell’infanzia o che sono rimasti a casa e non hanno quindi usufruito di alcun servizio. Una differenza che si fa ancor più marcata per i minori provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico. Tra questi, infatti, coloro che sono andati al nido hanno reagito appropriatamente al 44% delle domande contro il 38% dei bambini che non lo hanno frequentato’. (2)
In pratica, i piccoli che hanno frequentato il nido riconoscono più segni (numeri e lettere) e hanno ‘una marcia in più’ su diverse attitudini. Dalla matematica alla capacità di espressione verbale, lo sviluppo motorio e quello socio-emozionale. La durata di frequentazione del nido è altresì determinante nel combattere la povertà educativa. ‘I bambini appartenenti a famiglie in svantaggio socio-economico che hanno frequentato il nido per tre anni, infatti, hanno risposto appropriatamente al 50% delle domande, a fronte del 42,5% per coloro la cui frequenza è stata tra i 12 e i 24 mesi e del 38% per un solo anno o meno (una percentuale del tutto simile a quella di chi non ha frequentato il nido)’. (2)
L’occupazione delle mamme rappresenta un vantaggio in termini di lotta alla povertà educativa. Ciò che conta è infatti la qualità del tempo trascorso dai genitori con i bambini. Leggere libri e ascoltare musica insieme, i giochi all’aperto e ogni altra attività che il genitore possa dedicare al figlio con gioia, senza l’afflizione di altri pensieri. L’indagine di Save the Children evidenzia questo aspetto nei suoi risvolti concreti in termini di sviluppo delle attitudini del bambino. Precisando che ‘una mamma lavoratrice rappresenta un fattore di protezione rispetto alla povertà educativa, in particolare per i bambini che vivono in un contesto di disagio socio-economico’.
‘Secondo i risultati della ricerca, i bambini con madre disoccupata o che si dedica a un lavoro di cura non retribuito rispondono rispettivamente in modo appropriato al 38,4% e al 43,1% dei quesiti. Una percentuale notevolmente inferiore rispetto a quella dei bambini la cui madre svolge un lavoro manuale (48%), un lavoro da impiegata (51%) o da dirigente, imprenditrice o libera professionista (55%)’.
Il rapporto Oxfam ‘Il potere dell’educazione per sconfiggere la disuguaglianza’ a sua volta evidenza la criticità del sistema educativo italiano. I servizi per l’infanzia come quelli scolastici dovrebbero rappresentare una priorità assoluta per l’Italia, che è ancora lontana dai pur modesti target stabiliti a livello europeo. L’accesso agli asili nido e/o ai servizi integrativi dovrebbe venire garantito ad almeno il 33% dei bambini da 0 a 3 anni. In Italia invece, secondo Save the Children, solo il 12,3% dei bimbi frequenta un asilo pubblico. E un restante 11,7% avrebbe accesso a servizi privati. Con picchi negativi in Calabria e Campania, Puglia e Sicilia al di sotto della metà della media nazionale. Neppure i ‘campioni’ italiani – Valle d’Aosta (28%), Provincia autonoma di Trento (26,7%) ed Emilia Romagna (26,6%) – riescono ad avvicinarsi al già iniquo target europeo, che si dovrebbe invece superare.
‘La grande disuguaglianza di accesso alla scuola nei paesi più poveri condiziona il futuro di intere generazioni. In un mondo sempre più disuguale sono le nuove generazioni a pagare il prezzo più alto in termini di opportunità, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. In media i bambini nati in famiglie povere hanno infatti 7 volte meno probabilità di terminare la scuola rispetto ai loro coetanei nati in famiglie ricche o benestanti’. Ma anche nei Paesi con le economie più avanzate ‘solo il 75% dei ragazzi nati in famiglie con reddito basso termina le superiori contro il 90% dei figli delle famiglie più ricche’. (3)
La soluzione è una soltanto. Investire nell’istruzione pubblica, gratuita e di qualità. Affinché non sia la classe sociale a determinare il futuro dei giovani e compromettere lo sviluppo della civiltà. La Cina, ancora una volta, ha molto da insegnare. Proprio grazie ai cospicui investimenti pubblici nella qualità dell’istruzione di massa, la Repubblica Popolare Cinese oggi attrae gli investimenti produttivi internazionali – in industria, tecnologia e servizi – non per il basso costo della manodopera bensì grazie a una forza lavoro qualificata.
I politici italiani – anziché simulare la sindrome di Calimero, attribuendo ad altri le colpe della stagnazione economica – dovrebbero dimostrare nei fatti l’attenzione verso la famiglia. Anziché tirar fuori ministri ad hoc, privi di portafogli e di iniziativa, si stanzino risorse adeguate agli scopi nella legge di bilancio ora in discussione. Potrebbe davvero essere l’ultima, Speranza. Speranza?
Dario Dongo e Sabrina Bergamini
Note
(1) Si segnala al proposito l’interazione tra alcuni Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, in Agenda ONU2030 (Sustainable Development Goals, SDGs, #sgds2030):
(2) Save the Children Italia (2019). Il miglior inizio. Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita
(3) Oxfam Italia (2019). Il potere dell’educazione per sconfiggere la disuguaglianza
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.