Si è concluso in Svizzera il vertice di pace ucraino e dei suoi alleati per proporre una bozza di pace che prevede l’integrità territoriale dell’Ucraina, compresa la Crimea, il ritiro delle truppe di Mosca e l’ingresso di Kiev nella Alleanza atlantica (confermato da Stoltenberg e Blinken). Di fatto un avallo a continuare la guerra.
Hanno firmato l’accordo 80 paesi, ma 12 Paesi partecipanti non hanno posto il loro sigillo. Questi sono Brasile, India, Sudafrica, Messico, Armenia, Bahrein, Indonesia, Libia, Arabia Saudita, Thailandia, Emirati Arabi Uniti, Colombia e il Vaticano. Se teniamo conto che non hanno partecipato al Summit, Paesi come la Cina e la Russia, possiamo dire che non hanno firmato la maggioranza della popolazione globale.
Putin manda a dire che la Russia è pronta al cessate il fuoco e ad avviare negoziati, se le truppe ucraine si ritireranno dalle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson e se il governo di Kiev si impegnerà a non aderire alla Nato.
Molti rappresentanti dell’Occidente irridono Putin, affermando che le sue proposte non sono serie (Scholz), rappresentano una resa per l’Ucraina (Harris e Meloni), che non sono una base ragionevole per la pace (Sullivan). Questi discorsi sono aria fritta, sono parole che non servono a nulla, se non ad alimentare la guerra.
Ma Putin ripete il massimo delle sue richieste da quando è cominciata la guerra. Anzi a maggio del 2022 le sue richieste erano più basse, bastava l’autonomia del Donbass e la neutralità dell’Ucraina dalla Nato per finire la guerra, ma sull’accordo già concordato tra Russia e Ucraina, la prepotenza di GB ed USA fecero saltare tutto.
Se vogliamo essere sinceri, anche le richieste ucraine al Summit svizzero, sul piano reale, chiedono la resa a Putin e cioè di abbandonare tutte le regioni dell’Ucraina e la Crimea e di accettare l’ingresso di Kiev nella Nato. Se vogliamo guardare le cose come sono e con un minimo di obiettività, entrambe le richieste sono poco serie e chiedono entrambe la resa del contendente e provengono da due tavoli separati che non vogliono incontrarsi: questa è davvero la questione davvero poco seria.
L’unica cosa necessaria da fare è l’apertura di un tavolo negoziale a cui partecipano insieme Ucraina, Russia, USA, ma anche Cina e magari qualche altro grande Paese e una Europa che sappia riprendere per mano i suoi valori fondanti, non certamente l’Europa di adesso della Von der Leyen e di Borrell.
Solo l’apertura di un tavolo di questo tipo è la cosa seria da fare, l’apertura di un confronto capace di affrontare insieme le causa della guerra e trovare un compromesso che metta fine alla distruzione e ai massacri di civili e soldati, prendendo in considerazione le condizioni che possano garantire sicurezza e sviluppo per tutti nello spirito di una cooperazione pacifica dei popoli.
La Cina rivendica la sua “posizione sensata” riguardo alla conferenza di pace da tenere sulla guerra in Ucraina che poggia sul riconoscimento dell’iniziativa da entrambe le parti in confitto, sulla parità di partecipazione di tutte le parti coinvolte e sulla discussione equa di tutti i piani di pace disponibili. È la posizione di Pechino, secondo cui la posizione, espressa congiuntamente con il Brasile lo scorso mese, è sostenuta da oltre 100 Paesi, in rappresentanza della maggioranza globale per mettere fine alla tragedia ucraina.
Oltre a devastare la vita degli uomini, ad acuire odio e divisione e uccidere le speranze dei piccoli, stiamo distruggendo il creato, devastando la nostra casa comune.
Secondo una recente ricerca guidata da “Iniziativa sulla contabilità dei gas serra della guerra” (IGGAN), il costo climatico degli ultimi 2 anni di guerra in Ucraina è stato superiore alle emissioni annuali di gas serra generato singolarmente da 175 Paesi.
Nonostante questo, la guerra continua ad essere alimentata dai grandi della terra, che nella loro presunzione credono di aver sempre soluzioni a tutto. Ed ancora non è considerata quanta energia ci vorrà per ricostruire l’Ucraina dopo la fine della guerra. E nel calcolo mancano le emissioni dovute alle guerre a Gaza e in Africa. Ma i signori della guerra ci vogliono far credere che per risolvere i problemi bastino i soldi e le armi, mentre la Pace resta un miraggio.
La loro perseveranza è diabolica. La Nato, per voce del suo segretario Stoltenberg è in trattative per schierare più armi nucleari di fronte alla crescente minaccia da parte di Russia e Cina, perché deve mostrare al mondo il suo arsenale per inviare un messaggio diretto ai suoi nemici. Lo stesso segretario, che sarà ricevuto da Biden alla Casa Bianca, dichiara che il cammino verso la pace in Ucraina passa per la consegna di nuove armi.
Una montagna di risorse sottratte alla lotta alla crisi climatica e alla fame, in nome della deterrenza, della sicurezza e di un distorto concetto di pace. Il peggior investimento nell’ambito di una spesa, già controversa, qual è quella per gli strumenti militari, è la spesa per le armi nucleari, necessaria a mantenere in efficienza un arsenale in grado di scatenare l’apocalisse totale.
I nove Stati dotati di armi nucleari, Cina, Francia, India, Israele, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Regno Unito e Stati Uniti, nel 2023 hanno speso complessivamente più di 91 MLD$ per i loro arsenali, pari a 2.900$ al secondo. La denuncia arriva dall’ultimo Rapporto della campagna internazionale Ican (International Campaing to Abolish Nuclear Weapons), che mostra come l’anno scorso siano stati spesi 10,7 MLD$ in più per le armi nucleari rispetto al 2022.
La quota degli Stati Uniti, pari a 51,5 MLD$ (52%), è superiore a quella di tutti gli altri Paesi dotati di armi nucleari messi insieme e rappresenta l’80% dell’aumento della spesa per le armi nucleari nel 2023. A seguire, la Cina che ha speso 11,8 MLD$ (15%), mentre la Russia è al terzo posto con 8,3 MLD$ (11%). La spesa del Regno Unito è aumentata significativamente per il secondo anno consecutivo, con un incremento del 17% a 8,1 MLD$ (8%).
“Surge” è la quinta edizione del rapporto di Ican sulla spesa globale per le armi nucleari. Negli ultimi 5 anni sono stati spesi 387 MLD$ per le armi nucleari: da 68,2 miliardi di dollari a 91,4 miliardi di dollari all’anno.
Alicia Sanders-Zakre della International Campaign to Abolish Nuclear Weapon, coautrice del rapporto, sottolinea come l’accelerazione della spesa per queste armi disumane e distruttive negli ultimi cinque anni non stia assolutamente migliorando la sicurezza globale, ma rappresenti una minaccia globale.
Questi politici con il naso lungo e che non sanno vedere oltre le unghie dei propri alluci ci stanno portando alla rovina. E la sinistra, se continuerà ad avallare forniture di armi e rimarrà divisa sul tema della pace e del disarmo ci consegnerà inevitabilmente ad un “nuovo” fascismo.
Francesco Masut