Nelle città storiche la mancanza di accessibilità per le persone disabili è la norma. Le soluzioni esistono e sono facilmente attuabili, come emerge dall’articolo scientifico “A study on accessibility in an Old Italian City: when the past is worth more than the present”, pubblicato in Disability & Society, pp. 1-25, a ottobre 2020 (DOI: 10.1080/09687599.2020.1829552), di cui segue una sintesi.
Il tema della disabilità è molto studiato a livello internazionale mentre ha minor visibilità in Italia e già questo dovrebbe stimolare una riflessione ulteriore in considerazione dei numeri che il fenomeno presenta. Infatti, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 15% della popolazione mondiale vive con una qualche forma di disabilità e i numeri sono in costante aumento. Questo non dipende solo dall’invecchiamento della popolazione ma anche dall’aumento di malattie croniche e degenerative che colpiscono persone di ogni età, da incidenti, guerre, disastri naturali o provocati dall’uomo, da problemi alimentari e altro ancora.
A ciò si aggiunga il recente sviluppo delle neuroscienze che ha aumentato la categorizzazione di disturbi infantili che oggi rientrano tra le cosiddette disabilità dello sviluppo. Si è quindi verificato un sostanziale incremento di diagnosi di disturbi dello spettro autistico (ASD), di disturbi da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e di altri disturbi cognitivi che – soprattutto nelle società europee e americane – ha determinato un aumento considerevole dei bambini definiti disabili all’interno dei sistemi scolastici. In Italia i numeri sono ancora maggiori in quanto, secondo l’ISTAT, circa il 20% della popolazione, presenta una limitazione funzionale.
Tanti sono gli ambiti connessi alla disabilità: la scuola, il lavoro, la salute, lo sport, il turismo, le politiche sociali e altro ancora. Tra questi, quello dell’accessibilità, è sicuramente uno dei più importanti perché l’accessibilità, per una persona con disabilità, genera autonomia. Anche il tema dell’accessibilità ha molte facce in quanto il suo contrario investe molti aspetti della vita quotidiana: dai documenti ai siti web, dagli sportelli bancomat agli ascensori, dai ristoranti ai luoghi di studio, di lavoro e di cura.
Inoltre, e come si vedrà di seguito, la mancanza di accessibilità si amplifica nelle città storiche, tanto belle quanto numerose sia in Europa che in Italia. Le nostre città – e in particolare quelle di origine antica – presentano numerose barriere architettoniche. Il problema è che quando si parla di luoghi ed edifici storici si pensa ad ambienti da visitare per interesse artistico e culturale, mentre in realtà sono spesso ambienti dove si svolgono attività giornaliere. E quando questi sono inaccessibili o scarsamente accessibili, impediscono alle persone con disabilità una piena partecipazione alla vita economica, politica e sociale.
Una grande importanza è attribuita alla conservazione di luoghi ed edifici di interesse storico e culturale, per la protezione dei quali vi sono apposite norme. Tuttavia, vi sono norme e raccomandazioni specifiche – sia sovranazionali che nazionali – anche per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
Il punto è che spesso questi insiemi normativi sono interpretati come se fossero in contrasto tra di loro e, solitamente, si tende a far prevalere la conservazione sull’accessibilità. Ad esempio, la Convenzione delle Nazioni Unite del 2006 riconosce il diritto delle persone con disabilità ad accedere solo “per quanto possibile” a luoghi e monumenti di riconosciuto valore culturale. E questo – forse – sarebbe anche accettabile se si trattasse di luoghi riservati a turismo o tempo libero come sembra evidenziare la stessa Convenzione. Ma come la mettiamo se questi luoghi ed edifici sono adibiti a uffici pubblici, luoghi di lavoro o scuole? Sempre per legge, e data la loro destinazione d’uso, questi ambienti devono essere accessibili. Ma spesso così non è.
Prendiamo come caso esemplificativo la città di Trento. Fondata dai Romani nel I secolo a.C., come tante altre antiche città italiane ed europee, ha già subito molte trasformazioni di natura architettonica e urbana perdendo dunque molti tratti di originalità storica. Va evidenziato che il Trentino ha lavorato molto per sviluppare e migliorare la normativa sull’accessibilità. Grazie alla possibilità di legiferare autonomamente, questa Provincia ha promulgato nel 1981 la prima legge specifica italiana sulla rimozione delle barriere architettoniche nell’edilizia privata. Eppure, come emerso dalle esperienze delle persone intervistate per questa ricerca, e come è stato documentato attraverso una ampia raccolta di fotografie, molte barriere sono ancora presenti negli edifici storici e nel centro cittadino.
Nonostante Trento sia considerata abbastanza accessibile dalle stesse persone con disabilità, anche qui la conservazione tende a prevalere sull’accessibilità.
Partiamo da un elemento cui nessuno pensa, ossia la pavimentazione a cubetti che, tipica nei centri delle città di origine antica, sembra rappresentarne la storicità. Ma questo tipo di pavimentazione può causare grossi problemi alle persone con disabilità che, nelle interviste, hanno sottolineato che una superficie più liscia e regolare sarebbe la soluzione migliore, perché sedie a rotelle, bastoni e altri dispositivi di supporto si muoverebbero senza intoppi e senza causare rischi di ribaltamento o caduta.
Dalla ricerca è però emerso che la pavimentazione a cubetti potrebbe anche permanere se fosse oggetto di manutenzione costante in modo da renderla uniforme e priva di buche: tra l’altro, una manutenzione costante contribuirebbe all’estetica della città e a una sua immagine di luogo ben curato.
Un ulteriore problema riguarda i marciapiedi che non sempre sono presenti nelle strade più vecchie e strette: quindi, quando esistono, dovrebbero essere un luogo sicuro per le persone con disabilità, ma così non è.
Negli ultimi decenni i centri storici di molte città europee e italiane, inclusa Trento, sono diventati zone a traffico limitato e sono sempre più affollati, poiché usati come luoghi di aggregazione, di attività commerciali e ricreative e, di conseguenza, i marciapiedi sono pieni di tavoli e sedie di bar, insegne, artisti di strada, bancarelle e molto altro ancora.
Ovviamente, questo sviluppo rende i centri storici più vitali e vivaci, ma anche più inaccessibili per le persone con disabilità. A ciò si aggiunga che, a causa della creazione di zone a traffico limitato e di percorsi ciclopedonali, il numero di biciclette in circolazione è aumentato notevolmente. Così, oltre a trovare bici parcheggiate ovunque e male, è ormai comune vedere ciclisti pedalare sui marciapiedi anche quando non sono promiscui. E nonostante queste pratiche siano vietate dal codice della strada, la polizia e le autorità – preferendo le bici alle auto – tendono a chiudere un occhio su queste infrazioni, senza considerare il pericolo che queste rappresentano per le persone con disabilità.
Tutti questi problemi e altri, si intensificano la sera e la notte, quando la luce del giorno viene sostituita dalla luce artificiale, che è spesso troppo tenue. Anche in questo caso, la conservazione dei vecchi lampioni o l’uso di luci soffuse negli edifici, rende più suggestivi i centri storici, le strade e i vecchi palazzi, ma questo tipo di illuminazione spesso non è sufficiente per persone con disabilità: ad esempio, le persone sorde necessitano sempre di una buona illuminazione per riuscire a leggere le labbra o a comunicare nella lingua dei segni.
Le persone con disabilità affrontano molti problemi sia per spostarsi nei centri storici che per accedere e muoversi all’interno di vecchi edifici che, lungi dall’essere accessibili, sono però sedi di uffici pubblici, di servizi e di attività commerciali e ricreative. Dalla ricerca è emerso che in questi edifici si riscontrano bagni inaccessibili, scale e gradini con mancanza di rampe o rampe troppo ripide, assenza di ascensori o ascensori troppo stretti o senza indicatori vocali, luci soffuse nelle stanze, nei corridoi e nelle scale, stanze con pessima acustica, porte piccole o troppo pesanti, campanelli e maniglie troppo alte e altro ancora.
Pur riconoscendone l’importanza, quindi, va detto che la conservazione genera mancanza di accessibilità, ma non è impossibile rendere accessibili questi luoghi ed edifici storici. La mancanza di accessibilità dipende spesso da un approccio di convenienza in quanto le norme sulla conservazione sono spesso usate come scusa per non effettuare interventi che abbatterebbero alcune barriere architettoniche.
Per quanto riguarda l’accessibilità in edifici storici come castelli o musei, deputati esclusivamente a visite di carattere culturale, gli intervistati – seppur a malincuore – accettano di poter avere qualche problema o qualche limitazione e non si aspettano interventi di grande impatto su queste strutture. È però nettamente diversa la loro opinione sui luoghi storici e sugli edifici in cui si svolgono le attività della vita quotidiana: ad esempio, se un vecchio edificio diventa sede di attività commerciali, come una gelateria o un negozio di abbigliamento, perché l’ingresso non è dotato di una rampa di accesso? Soprattutto quando ne esistono di removibili? Diciamolo francamente, è davvero un gradino a preservare la storicità di un edificio? Lo stesso vale per una bassa illuminazione, soprattutto se consideriamo che la luce elettrica non esisteva quando molti edifici sono stati costruiti.
Per concludere, un primo suggerimento che arriva da questa ricerca e che potrebbe aiutare amministratori pubblici, ingegneri, architetti e altre figure coinvolte nei processi decisionali e nella progettazione urbana, è quello di valutare attentamente EX ANTE la destinazione d’uso a cui sono o saranno preposte le componenti storiche delle città. Se un edificio del XVI secolo viene convertito in una scuola o in una banca, è necessario renderlo accessibile a tutti. Soprattutto se consideriamo che la disabilità può essere acquisita da chiunque, anche se in forma temporanea.
In secondo luogo, GLI amministratori della città, I pianificatori e figure simili, dovrebbero essere formati nella progettazione senza barriere. Quindi, le università dovrebbero attivare corsi di formazione e aggiornamento non solo sul cosiddetto design for all MA ANCHE sulle normative relative alla disabilità. Di fatto, intervistando anche responsabili pubblici e privati che operano nell’ambito della disabilità o con questioni ad essa afferenti, è emerso che spesso non conoscono tutte le norme già esistenti in materia di accessibilità e – più in generale – in materia di tutela dei diritti delle persone con disabilità.
Infine e in terzo luogo, non è realistico aspettarsi che questi esperti o responsabili, nonostante la loro preparazione, immaginino e comprendano le esigenze che emergono dai diversi tipi di disabilità. E la soluzione a quest’ultimo problema è il participatory planning,
Infatti, quando le persone con disabilità sono incluse nella pianificazione e progettazione, queste diventano ancora più efficienti ed efficaci perché questi soggetti sono in grado di fornire know-how tecnico, proprio perché questi utenti sono i migliori esperti sia delle loro esigenze che delle caratteristiche e particolarità del territorio in cui vivono e che richiede di essere modificato.
Albertina Pretto
Dopo la laurea in Sociologia all’Università di Trento, ha conseguito un dottorato di ricerca in ‘Psicologia delle Organizzazioni: processi di inclusione ed esclusione’ presso l’Ateneo di Verona. Attualmente collabora con EURCECOM (Center of Studies of the Contemporary Communication in Europe) ed è membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di
Sociologia della Salute.