Le discriminazioni in UE sono rivelate nella loro ampiezza sul rapporto di Eurobarometro speciale 493 ‘Discrimination in the European Union’, pubblicato a ottobre 2019. (1) Al di là dei fenomeni estremi più recenti – dalle minacce alla Senatrice Liliana Segre in Italia, all’allarme neonazismo dichiarato a Dresda – il pregiudizio nei confronti di minoranze e diversità rimane effettivo, quotidiano e diffuso.
L’analisi della ‘public opinion’ considera i livelli di discriminazione in UE nei confronti di gruppi di persone (genere e LGBTI, credo e religione, disabilità) e minoranze etniche (etnie e ‘colore della pelle’). In relazione alle diverse dimensioni sociali (sentimentale, lavorativa, politica).
Il lavoro è stato condotto mediante interviste vis-à-vis di 27.438 persone, appartenenti a diversi gruppi sociali e demografici, nei 28 Paesi membri. Su incarico della Commissione europea, Direzione Generale Consumatori e Giustizia. Tenendo a mente i requisiti di uguaglianza stabiliti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. (2)
In generale, i livelli di tolleranza – espressi con l’eufemismo di ‘comfort e agio’ – sono più bassi verso persone di etnia rom, intersessuali e transgender. A maggior ragione quando i rapporti interessino la sfera familiare (come nel caso di una relazione sentimentale con i propri figli). L’intolleranza diminuisce quando la persona a rischio discriminazione sia un/una collega. E raggiunge un discreto livello di accettazione quando ‘il/la diverso/a’ assuma un incarico politico, anche in posizione elevata.
L’Eurobarometro 2019 – a esito di ampia indagine demoscopica – offre una vera e propria classifica della vergogna. Vale a dire, i gruppi di persone nei confronti delle quali i cittadini europei avvertono esistere una discriminazione:
– persone di etnia rom o roma (61%),
– individui di altre etnie e differenti colori della pelle (59%),
– persone di orientamento non eterosessuale (lesbian, gay, bisex, 53%, transgender 48%),
– esseri umani di varie credenze e religioni (47%),
– persone con disabilità (44%).
Le persone con disabilità subiscono diffuse discriminazioni, riconosce il 63% dei cittadini francesi. Una rivoluzione non è insomma bastata ad affermare i valori di Fraternité ed Égalité (!). Il pregiudizio nei confronti dei disabili è riconosciuto, in Italia, da 1 cittadino su 2. Ed è solo grazie al maggiore livello di civiltà dei Paesi del Nord Europa che la tolleranza media verso i portatori di handicap raggiunge il 56%. Ma solo il 49%, si noti bene, tra i giovani (15-24 anni).
Il problema è dunque culturale, in primis. E l’unico dato in apparenza favorevole, la crescente accettazione di un collega disabile (84%), è puramente velleitario. Poiché i livelli di disoccupazione legati alla disabilità sono impareggiabili. Ed è questo il vero stigma, con un impatto sociale che Eurostat mostra in termini di prevalenza del rischio di povertà ed esclusione sociale (28,7% vs. 19,2%, il gap tra disabili e non).
Le barriere culturali, del resto, si esprimono anche nella sistematica violazione della libertà dei portatori di handicap. Con buona pace dei solenni principi affermati nella UN Convention on the Rights of Persons with Disabilities (CRPD). (3) Barriere architettoniche ubiquitarie, servizi di viaggio inaccessibili e mobilità personale inesistente completano il quadro dei diritti negati.
Il disagio espresso nei confronti di persone e gruppi a rischio discriminazione è più spiccato nei confronti della comunità rom rispetto a gruppi di altre etnie, ‘colori’ o fedi. Solo il 39% dei cittadini europei intervistati dichiara si sentirsi a proprio agio qualora i propri figli abbiano compagni di classe rom. Il razzismo di antica memoria dunque persiste. È più spiccato in Francia (75%) e in Italia (71%) e scala gradatamente procedendo verso Nord (41% in Finlandia).
Al contempo però, meno di un europeo su 5 (19%) considera efficaci gli sforzi eseguiti nel proprio Paese per l’inclusione dei rom. Il 28% ritiene che tali sforzi abbiano un’efficacia moderata e il 34%, almeno quello, ne riconosce la totale inadeguatezza. Senza peraltro che la politica – a livello europeo come dei singoli Stati membri – faccia alcunché.
Questa crisi sociale affligge 12 milioni di individui in Europa, l’80% dei quali vive al di sotto della soglia di povertà. L’aspettativa di vita degli appartenenti a questa comunità, si noti bene, è di 10 anni inferiore alla media.
La comunità LBGTI (lesbian, gay, bisexual, transgender and intersex) sembra invece essere finalmente in uscita dalle liste di proscrizione dei cittadini europei. L’Eurobarometro registra infatti un miglioramento rispetto alla precedente rilevazione del 2015. Il 76% degli europei oggi riconosce la parità di diritti per le persone gay, lesbiche, bisessuali e intersessuali. Il 72% considera che non vi sia nulla di male nella relazione affettiva fra due persone dello stesso sesso e il 69% si dichiara a favore dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.
I documenti ufficiali, per il 46% dei soggetti intervistati, dovrebbero contemplare una terza opzione per coloro che non si attribuiscano un’identità maschile né femminile. Il 42% mantiene posizione contraria, il restante 12% risponde di ‘non sapere’. Con variazioni significative tra i diversi Paesi, con maggiore indulgenza a Malta (67%) e in Spagna (63%), estremo rigore in Bulgaria (7%) e Ungheria (13%). In Italia domina ancora il no (49%, a raffronto con il 37% a favore).
La maggior parte dei cittadini europei intervistati ritiene opportuno introdurre lezioni e materiale didattico sulla ‘diversità’ nelle scuole. Soprattutto quando si tratti di disabilità (86% a favore), origine etnica o colore della pelle (82%), credo e religione (81%).
Il consenso all’educazione – che è la logica premessa della tolleranza – diminuisce invece quando si consideri l’idea di inserire nella didattica cenni alla storia e cultura rom (72% favorevoli). E soprattutto allorché si affronti il tema delle variabili che attengano alla sessualità. Solo il 65% del campione intervistato è invero favorevole a offrire informazioni, nel contesto scolastico, sull’essere transgender o intersessuale.
La discriminazione in Italia è marcatamente più spiccata rispetto alla media europea. Nei confronti dei rom (79%, rispetto al 61% della media Ue) ma anche verso colore della pelle, orientamento sessuale, transgender. Gli italiani sono altresì meno disposti all’eventualità di lavorare con persone di etnia rom (con un ‘maggior disagio’ espresso dal 39% degli intervistati, a fronte di 17% nella media UE). Addirittura, 1 su 4 ‘non si sentirebbe a proprio agio’ se una persona gay, lesbica o bisessuale occupasse la più alta carica elettiva del Paese (24%, vs. 18%).
Neppure a scuola gli italiani accettano di accogliere informazioni sulla ‘diversità’. Solo il 47% è d’accordo che le scuole informino sul transgender e il 49% sull’intersessualità (65% la media in UE), il 56% sull’orientamento sessuale (71% in UE). Infine, solo il 53% (verso il 72% in Unione Europea) è d’accordo sul fatto che a scuola si parli di storia e cultura rom.
Dario Dongo e Sabrina Bergamini
Note
(1) European Commission. (2019). Special Eurobarometer 493, Discrimination in the European Union,
(2) V. Carta dei diritti fondamentali in Unione Europea, 2012/C 326/02. Titolo III, Uguaglianza, articoli 20-26. Su https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A12012P%2FTXT
(3) V. anche Carta dei diritti fondamentali in Unione Europea, articolo 26, Inserimento delle persone con disabilità. ‘L’Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità.’
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.