Gli eccessi di produzione e consumo rendono opachi i numeri della moda. L’eccesso di offerta di capi low cost è ‘lo sporco segreto dell’industria tessile’ e fonte di disastri ambientali. Una recente inchiesta del Guardian approfondisce il tema della fast fashion vista dal versante della eccessiva produzione, o meglio dell’eccesso di offerta. Che ha numeri enormi ma al tempo stesso sconosciuti. (1)
Da un canto, dilaga la produzione di capi usa e getta, di bassa qualità, che vengono usati pochissimo. Talvolta mai, vengono gettati con il cartellino del prezzo. Merci inutili, che finiscono nelle discariche dell’Africa, in paesi come Ghana e Nepal, e spargono nell’ambiente particelle di inquinanti, coloranti ma anche micro e nanoplastiche, trovate ovunque, nei mari, nell’ambiente, nel sangue umano. (2)
L’altra faccia del fenomeno è l’eccesso di consumo, alimentato anche da un marketing pervasivo che riproduce un ciclo di promozioni, sconti e campagne mirate per invitare i consumatori a continuare a comprare di continuo nuovo abbigliamento.
I numeri in ballo sono in realtà solo stime. Fra il 10% e il 40% degli indumenti prodotti ogni anno non viene venduto. Ma quanti siano gli indumenti prodotti nessuno al momento lo sa con certezza.
Il Guardian scrive che, secondo le statistiche a oggi disponibili, ‘ogni anno vengono realizzati tra 80 e 150 miliardi di indumenti’. La percentuale di vestiti invenduti corrisponderebbe a un numero che varia fra 8 miliardi o 60 miliardi di indumenti all’anno.
‘Nessuno sa esattamente quanti cappotti, jeans, magliette e scarpe da ginnastica vengono prodotti ogni anno, il che significa che nessuno sa quanti capi rimangono invenduti nei magazzini, destinati alla discarica o alla distruzione. Senza queste informazioni, cercare di ridurre l’impronta di carbonio dell’industria della moda è un po’ come cercare di risolvere un puzzle al buio’, (The Guardian).
Uno dei problemi del settore tessile è la misinformation, denuncia Vox. (3). Più che di disinformazione o dell’abusata espressione ‘fake news’ si tratta di cattiva informazione, incompleta, fuorviante, basata su statistiche discutibili, con fonti di studi opache e non troppo chiare. Con il risultato di non avere definito il quadro in cui ci si deve muovere per chiedere nuove legislazioni o azioni effettive di tutela dell’ambiente.
‘L’8-10% delle emissioni globali di gas serra proviene dall’industria della moda, che è più delle industrie dell’aviazione e del trasporto marittimo messe insieme. L’industria della moda produce e vende tra gli 80 e i 150 miliardi di capi all’anno a livello globale. Quasi tre quinti di tutti i capi di abbigliamento prodotti finiscono negli inceneritori o nelle discariche entro pochi anni dalla produzione’, sottolinea Vox.
La forchetta di numeri è certo troppo ampia per assumere un significato univoco e dare vita ad azioni significative. Ma le prove che qualcosa non quadra sono tante, dai cumuli di rifiuti tessili in Africa alle acque potabili inquinate dalle microplastiche. ‘La statistica secondo cui il 4% dei rifiuti globali proviene dall’industria della moda’ è il fatto più documentato, secondo Vox.
Alla base della sovrapproduzione di vestiti, secondo il Guardian, risiedono diversi motivi:
– i produttori insistono su quantità minime d’ordine,
– il ciclo di vendite è sempre più veloce,
– c’è una certa incapacità di interpretare il mercato, di prevedere la domanda dei consumatori.
Un fenomeno sintomatico di un sistema di produzione arcaico, che incentiva il volume: più magliette vengono ordinate, più economico è il prezzo per ogni capo. Anche perché il fattore di costo più elevato riguarda i macchinari, non i lavoratori o i tessuti.
Il risultato è uno spreco esorbitante. Ad alimentarlo controbuisce una domanda creata e alimentata dal marketing sui social media, dagli annunci digitali, dalle campagne email e da un ciclo apparentemente infinito di sconti e promozioni.
L’eccessivo consumo di abbigliamento low cost suscita anche riflessioni sulla responsabilità e la consapevolezza dei consumatori. Prima ancora, della politica.
La legislazione europea ancora in sospeso sulla responsabilità estesa del produttore ‘non arriverà mai abbastanza presto’, secondo The Guardian.
La Strategia europea per prodotti tessili sostenibili e circolari (4) stima che nella sola Ue
– ogni anno vengano buttati via circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, ossia 11,3 kg a persona,
– il consumo di prodotti tessili ha il quarto maggiore impatto sull’ambiente e sui cambiamenti climatici, dopo l’alimentazione, l’alloggio e la mobilità ed è una delle tre principali fonti di pressione sull’uso dell’acqua e del suolo.
A livello globale i numeri si impennano:
– la produzione tessile è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015,
– il consumo di abbigliamento e calzature è destinato ad aumentare del 63% entro il 2030,
– ogni secondo l’equivalente di un camion carico di materiali tessili è collocato in discarica o incenerito,
– solo poco più dell’1% dei materiali usati per produrre capi di abbigliamento viene riciclato per produrne di nuovi,
– fino al 35% dell’insieme delle microplastiche rilasciate nell’ambiente deriva dai prodotti tessili. (5)
C’è molto da lavorare affinché la fast fashion sia ‘out of fashion’ come auspica l’Europa.
Sabrina Bergamini
(1) Lucianne Tonti. ’It’s the industry’s dirty secret’: why fashion’s oversupply problem is an environmental disaster. The Guardian. 18.1.24
(2) Per un riepilogo del ritrovamento di micro e nanoplastiche in ambiente e nel corpo umano, vedi Marta Strinati. Una nuova analisi svela l’enorme mole di nanoplastiche nell’acqua in bottiglia. GIFT (Great Italian Food Trade). 15.1.24
(3) Alden Wicker. Fashion has a misinformation problem. That’s bad for the environment. Vox. 31.1.20 https://www.vox.com/the-goods/2020/1/27/21080107/fashion-environment-facts-statistics-impact
(4) EU strategy for sustainable and circular textiles https://environment.ec.europa.eu/strategy/textiles-strategy_en, https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/9f3fc2a6-b02f-11ec-83e1-01aa75ed71a1/language-en/format-PDF/source-278929923
(5) Sabrina Bergamini. Microplastiche dai tessuti, il ruolo della moda low cost. Égalité. 5.5.22