Per i capi di Hamas la richiesta di arresto in campo internazionale veniva data per scontata, ma che una istanza venisse depositata dalla procura dell’Aja contro il premier Israeliano Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant non era immaginabile. Il procuratore Khan ha dichiarato di aver richiesto mandati di arresto per il premier, il suo capo della difesa e tre leader di Hamas per presunti crimini di guerra.
Il procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) ha affermato che è necessario dimostrare che il diritto internazionale umanitario, la base fondamentale per la condotta durante i conflitti, si applica a tutti gli individui e si applica allo stesso modo in tutte le situazioni affrontate dal suo ufficio e dal tribunale, perché le vite di tutti gli esseri umani hanno lo stesso valore e la stessa dignità. Se la richiesta verrà accolta il mandato di arresto sarà emesso e diventerà esecutivo.
Netanyahu e Gallant hanno supervisionato l’offensiva israeliana a Gaza, dopo l’orribile mattanza del 7 ottobre pianificata ed eseguita da Hamas e altri gruppi affiliati. Proprio i tre leader del movimento fondamentalista sono i destinatari del maggior numero di capi di imputazione: Yahya Sinwar capo di Hamas a Gaza, Mohammed Al-Masri il comandante in capo dell’ala militare, Ismail Haniyeh, capo dell’Ufficio politico di Hamas. I leader di Hamas sono accusati di essere responsabili di crimini per lo sterminio e l’omicidio, la presa di ostaggi, la tortura, lo stupro e altri atti di violenza sessuale.
Le accuse contro Netanyahu e Gallant includono la responsabilità di aver affamato deliberatamente i civili come metodo di guerra, di aver causato intenzionalmente grandi sofferenze e di aver ucciso civili intenzionalmente.
Da Tel Aviv la reazione è stata furibonda.
Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha definito la decisione un disastro. Benny Gantz, ex generale dell’esercito, leader centrista che si è unito al governo di unità nazionale e ritenuto come il predestinato a sostituire Netanyahu, ha definito la richiesta di arresto per il primo ministro e Gallant come “crimine di proporzioni storiche”.
Gallant ha dichiarato che Israele non riconosce l’autorità del tribunale. E ha sottolineato che il parallelo tra Hamas e Israele è disgustoso e che il tentativo del Procuratore Khan di negare il diritto di Israele all’autodifesa deve essere respinto totalmente.
La procura della CPI risponde che Israele, come tutti gli Stati, ha il diritto di agire per difendere la propria popolazione.
Tale diritto, tuttavia, non esime Israele o qualsiasi altro Stato, dall’obbligo di rispettare il diritto internazionale umanitario.
A prescindere dagli obiettivi militari che si possono perseguire, i mezzi scelti da Israele per raggiungerli a Gaza, causando intenzionalmente morte, fame, grandi sofferenze e gravi lesioni al corpo o alla salute della popolazione civile, sono criminali.
Gli Usa protestano e Blinken afferma, come Gallant, che il suo paese rifiuta l’equiparazione di Israele con Hamas e che tale equiparazione è vergognosa e inaccettabile.
Anche Herzog, il presidente israeliano, e il ministro degli esteri del nostro paese Tajani affermano lo stesso concetto.
Ma fonti dell’Aja ribadiscono però che non vi è alcuna equiparazione tra Israele ed Hamas, e che, come spiega la nota della procura, i capi di imputazione sono distinti e differenti. A Israele è in particolare contestata non la reazione contro Hamas, ma di avere reiteratamente violato il principio di distinzione, precauzione e proporzionalità, nella pur legittima risposta militare.
Il presidente Usa, Joe Biden, afferma che la richiesta del procuratore della Corte Penale Internazionale rispetto ai mandati di arresto contro i leader israeliani è scandalosa. E incalza affermando, anche lui, che non esiste equivalenza fra Israele e Hamas e quello che sta accadendo a Gaza non è genocidio.
È curiosa la posizione di Biden: da una parte dice di sostenere le proteste non violente degli studenti delle università a favore del cessate il fuoco e della dignità del popolo palestinese, ma continua ad inviare armi ad Israele che usa per uccidere civili palestinesi, ha messo il veto più volte sul cessate il fuoco al Consiglio di Sicurezza ONU e sul riconoscimento stabile della Palestina all’ONU e condanna le decisioni della CPI sui mandati di arresto per Netanyahu e Gallant per crimini contro il diritto internazionale.
Trump invece spinge il congresso con l’obiettivo che Biden mandi ancora più armi ad Israele. È drammatico che la potenza militare maggiore del mondo, si trova a scegliere tra queste due figure ottantenni e mitomani il futuro presidente degli Stati Uniti…
Un portavoce del Servizio di Azione Esterna della Commissione Europea ricorda che, nelle conclusioni del Consiglio Europeo del giugno del 2023, i 27 paesi dell’Unione concordano nel rispettare l’indipendenza della CPI e chi ha firmato lo Statuto di Roma ha l’obbligo di rispettare le sue sentenze.
Il governo di Madrid riconosce il lavoro cruciale, l’indipendenza e l’imparzialità della CPI dopo la richiesta di ordini di arresto contro il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa, Yoav Gallant, e vari dirigenti di Hamas.
Il ministro della Cultura spagnolo ha chiesto anche di rompere le relazioni commerciali, economiche e politiche con Israele, dopo che la procura della CPI ha chiesto l’arresto del premier israeliano Netanyahu per presunti crimini di guerra e contro l’umanità.
Ma l’Europa ancora una volta di mostra divisa o rimane in silenzio. Haaretz, un quotidiano israeliano, scrive che Francia e Germania sostengono la CPI, ma disapprovano i mandati di cattura verso Netanyahu e Gallant.
Il primo ministro britannico Rishi Sunak ha dichiarato che la richiesta del procuratore Karim Khan è profondamente inutile e non cambierà nulla per garantire una pausa nei combattimenti.
La Cina, attraverso il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha affermato di sperare che la Corte penale internazionale mantenga una posizione obiettiva e imparziale, chiedendo la fine della punizione collettiva del popolo palestinese.
Per gli USA la CPI vale solo contro i nemici
Il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha dichiarato che gli Stati Uniti lavoreranno con la Corte penale internazionale sui crimini di guerra in Ucraina nonostante il disaccordo sulla sua richiesta di arresto per i leader israeliani accusati di crimini contro il diritto internazionale.
Gli Usa negano la legittimità della Corte penale internazionale e minacciano questa organizzazione di sanzioni, attraverso lo speaker della Camera Mike Johnson, quando si pronuncia contro gli interessi di Washington e dei suoi “amici”.
Allo stesso tempo, utilizzano spudoratamente questo strumento, contro coloro che considerano “nemici”, e sono perseguiti dalla Corte per crimini contro l’umanità.
Questo riconoscimento della CPI quando persegue i “nemici” e la sua negazione quando persegue gli “amici” è purtroppo uno dei tanti doppi standard che rivelano l’ipocrisia dell’occidente e la menzogna che la guerra porta con sé.
I rappresentanti di Irlanda, Norvegia e Spagna, intanto, annunciano che riconosceranno lo Stato di Palestina a partire dal 28 maggio 2024.
Immediata la risposta di Israele tramite il suo ministro degli Esteri Israel Katz, che ha convocato gli inviati di Irlanda, Norvegia e Spagna facendo loro presente che in questo modo hanno deciso di assegnare una medaglia d’oro agli assassini di Nazi Hamas.
La Francia per ora si tira indietro dal riconoscimento della Palestina, facendo sapere che non è il momento giusto.
Ma il riconoscimento della Palestina è fondamentale per avviare un processo di pace, come anche il riconoscimento di Israele e questi processi si dovrebbero far partire in parallelo, con urgenza e senza giochi politici, perché rappresentano le pietre angolari su cui fondare un serio processo di pace.
Il Consigliere per la sicurezza nazionale americano Jake Sullivan, in un briefing alla Casa Bianca a proposito del riconoscimento da parte di alcuni Paesi europei della Palestina, afferma che ogni Paese è libero di decidere sulla questione.
La posizione del presidente Biden è chiara: gli Stati Uniti continuano a sostenere una soluzione a due Stati. Anche questo pronunciamento lascia a desiderare in quanto uno di questi due Stati, la Palestina, non è riconosciuta dagli Stati Uniti e poco tempo fa gli USA hanno posto il veto al Consiglio dell’ONU per l’inserimento stabile della Palestina all’Interno delle Nazioni Unite.
Come si può sostenere la soluzione a due Stati se non si riconosce uno dei due?
Non possiamo far finta, inoltre, di non vedere che le politiche di questi ultimi 20 anni di Israele hanno talmente frammentato il territorio della Cisgiordania, con l’insediamento di 700.000 coloni israeliani, da costringere i palestinesi a vivere in aree separate tra loro, non comunicanti e rendendo quasi impossibile la costituzione di due Stati.
Per rendere l’idea, Israele ha copiato e sta copiando in toto il metodo adottato dai bianchi americani con gli indigeni indiani, riducendoli a vivere in riserve sempre più limitate, controllate ed isolate.
Tutti i 15 giudici della Corte internazionale di giustizia dell’Aja, all’unanimità, accogliendo la richiesta presentata dal Sudafrica, hanno intimato a Israele di bloccare immediatamente la sua offensiva militare nell’area di Rafah, in quanto la situazione umanitaria a Rafah è peggiorata ulteriormente ed è diventata disastrosa.
La Corte di giustizia ingiunge pure a Israele di presentare entro un mese un rapporto sulle misure adottate, in quanto non ci sono prove riguardo le rassicurazioni fornite da Israele sulla sicurezza per i civili, come sull’accesso dei convogli umanitari alla popolazione palestinese.
I giudici hanno pure chiesto a Tel Aviv di riaprire tutti i valichi di frontiera per permettere l’ingresso senza restrizioni degli aiuti, come anche di qualsiasi commissione, missione o organismo d’inchiesta dell’Onu al fine di indagare sulle accuse di genocidio.
Pochi minuti dopo la lettura della sentenza, aerei da guerra di Tel Aviv hanno lanciato una serie di attacchi sul campo di Shaboura, nel centro della città di Rafah: il lapidario commento del “moderato” Benny Gantz, un ministro del Gabinetto di guerra, è che Israele è obbligato a continuare a lottare ovunque, compresa Rafah.
Secondo Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale ed esponente dell’estrema destra, la Corte di Giustizia è “antisemita” e dovrebbe avere una sola risposta: l’occupazione di Rafah, l’aumento della pressione militare e della completa distruzione di Hamas, fino al raggiungimento della completa vittoria nella guerra.
Intanto si continua a morire a Gaza, ma anche in Cisgiordania si sta combattendo una guerra inosservata dove le forze israeliane stanno lanciando operazioni regolari per distruggere case, demolire strade e smantellare infrastrutture di base, ha scritto Philippe Lazzarini, capo dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi.
Anche in Ucraina, purtroppo, la guerra continua a mietere centinaia di vittime e di feriti ogni giorno soprattutto nelle trincee, ma spesso anche tra i civili sia da una parte e che dall’altra, nel silenzio di una comunità europea che sa parlare solo di armi, coniugare solo il verbo vincere ed è capace di condannare solo in modo unilaterale, accecata dalla logica di una guerra “santa” contro il male assoluto.
Secondo la Reuters, notizie ovviamente da verificare, quattro fonti russe di alto livello hanno dichiarato che Putin può combattere per tutto il tempo necessario, ma è anche pronto per un cessate il fuoco negoziato che riconosca le attuali linee del campo di battaglia, per congelare la guerra. Ma sul fronte europeo ed occidentale il silenzio è completo e l’oblio regna sovrano.
Non si dà risalto a queste parole e si fa finta di non sentire. Ma c’è di peggio.
Orban riporta che a Bruxelles sono in atto gruppi di lavoro per organizzare una partecipazione diretta della Nato in Ucraina, per preparare l’Europa all’entrata in guerra.
E Stoltenberg chiede all’Europa, sulla linea di Blinken, di togliere il veto all’Ucraina di colpire gli obiettivi nel territorio russo e chiede ancora armi perché l’Ucraina può ancora vincere. E richiama l’Europa, come già esplicitato da Blinken nella sua visita da Xi Jinping, a prendere posizione contro la Cina, in quanto responsabile di vendere alla Russia componenti per costruire bombe i missili, come se la Nato vendesse agli ucraini dolci e caramelle.
Povera Europa ormai militarizzata, quanto sei caduta in basso! Il nostro paese si è opposto a Stoltenberg, a differenza di altri paesi nordici, ma è difficile dire se questa scelta sia dettata da un ripensamento serio o se sia legata a interessi elettorali, considerato che in 27 mesi di guerra l’Italia ha sempre accettato senza battere ciglio di innalzare il livello dello scontro con la fornitura di armi sempre più potenti e ha sempre supportato la guerra e le armi come unica soluzione alla crisi russo-ucraina.
Inoltre, sembra che Macron, dopo aver invitato dei rappresentanti russi per la commemorazione degli 80 anni dello sbarco in Normandia, ci abbia ripensato su pressione di USA, alcuni alleati e Gran Bretagna.
Quest’ultima ha perfino ammonito la Francia per aver ricevuto il presidente cinese e aver mandato un rappresentante all’insediamento di Putin, sospettando che l’intenzione di Macron sia quella di ergersi a mediatore nella guerra in Ucraina.
A prescindere dalle “ingerenze” esterne (molto pesante quella del Regno Unito che non è nemmeno parte della UE), il risultato di questa operazione è quello di cancellare 26 milioni di vittime dell’Unione Sovietica occupata dai nazisti. Questo dà proprio l’idea della decadenza politica e culturale in cui stiamo vivendo.
Proviamo anche ad approfondire su quanto sta accadendo in Georgia, ex stato dell’URSS e obiettivo, vecchio o nuovo, della Nato insieme all’Ucraina.
In questi giorni il Parlamento ha votato una legge che prevede che tutte le società, compresi i media e le ong, dovranno essere registrate come “soggetti che perseguono gli interessi di una potenza straniera” se ricevono più del 20 per cento dei propri fondi dall’estero e quindi subire dei controlli.
L’approvazione di questa legge ha indotto l’UE a dichiarare che in questo modo la Georgia si sta allontanando dall’Unione europea e il segretario di Stato americano Antony Blinken ha annunciato che gli Stati Uniti metteranno in pratica una revisione dei termini della loro cooperazione con la Georgia e introdurranno restrizioni ai visti per “coloro che mettono a rischio la democrazia” nello Stato del Caucaso meridionale, inclusi quelli che sono legati alla proposta legge sull’influenza straniera.
A prescindere che è incomprensibile questa continua intromissione dell’Europa e dell’America nelle scelte degli Stati sovrani con questo piglio del ricatto, che divide e crea solo conflitti inutili, è necessario considerare che leggi non dissimili esistono negli USA dal lontano 1938, in Russia, in Gran Bretagna dal 2023 e la Commissione europea ha recentemente presentato una proposta di legge che va nella medesima direzione.
Siamo al solito paradosso: se Stati “nemici” adottano dei controlli per limitare le influenze straniere, calpestano i diritti dei cittadini e la democrazia, se Stati “amici”, adottano provvedimenti similari, lo fanno per proteggere il sistema informativo e le ONG da presunte interferenze straniere.
Tanto per non dimenticare la decadenza del mondo ricco, il 19 maggio 2024 si è verificato l’Overshoot day italiano, il giorno del sovrasfruttamento delle risorse del pianeta, il giorno da cui cominciamo a usare le risorse dell’anno seguente. E delle prossime generazioni.
Un anno fa la giornata è caduta il 2 agosto: quest’anno abbiamo anticipato l’Overshoot di quasi due mesi e mezzo. Abbiamo consumato tutto quello che era a nostra disposizione per non gravare sull’ecosistema e sulle risorse disponibili per le generazioni future.
Ma anche qui chiudiamo gli occhi e facciamo finta di nulla: lo sport preferito dell’Europa e del nostro Paese, mentre il baratro si avvicina. L’importante è produrre armi e alimentare guerre senza fine, senza mai parlare delle sue conseguenze sulla vita delle persone e sulla terra.
Non dimentichiamolo l’8 e il 9 giugno è assolutamente importante portare al Parlamento dell’Unione uomini che sappiano riportare l’Europa ai suoi valori fondativi: la pace e la cooperazione tra i popoli, la dignità delle persone e della terra, nel ripudio della guerra come strumento per la soluzione delle controversie internazionali. Queste istanze sono al centro del programma di Dario Dongo, fondatore di Égalité, candidato nel Nord-Est per il movimento Pace, Terra, Dignità.
Francesco Masut