“Turni quotidiani da 14 ore, 7 su 7, senza giorni di riposo. Per 9 mesi di fila e uno stipendio di 710 euro al mese. Poi a casa, senza paga, fino al nuovo contratto. È andata avanti così per tre anni la vita di Carlos Chavarri, peruviano di Lima, fino a quando un cassone pieno di frutta gli è scivolato dalle mani frantumandogli il ginocchio sinistro. Faceva lo chef a bordo delle navi della Costa Crociere, gigante mondiale delle vacanze sul mare. ‘Soffro di artrosi al ginocchio ancora adesso, nonostante varie operazioni fatte, e questo m’impedisce di lavorare’, racconta lui, che oggi ha 43 anni ed è disoccupato.
Silvia Benavides, anche lei di Lima, sulle navi della Costa puliva le cabine. ‘Lavoravo 11-12 ore nei giorni normali, 15-16 ore nei giorni di imbarco e sbarco dei passeggeri. Il tutto senza mai una giornata di riposo, per uno stipendio netto di 1.400-1.500 euro al mese’, dice. Ha resistito 18 anni, fino a quando i dolori a una gamba l’hanno costretta a sbarcare. Oggi ha 54 anni ed è disoccupata.
A Wilfredo Zevallos è andata persino peggio: ‘Facevo il facchino con turni di 10-12 ore, nessun giorno di pausa e uno stipendio medio di 1.000 euro al mese’. Nel 2014 un’ernia lombare lo ha messo a terra. Oggi è tornato nella sua Cerro de Pascos: ha 46 anni e tira a campare vendendo frutta dell’Amazzonia”.
Inizia così l’inchiesta di Stefano Vergine pubblicata ad agosto del 2021 su Fq Millenium, il mensile del Fatto Quotidiano, e appena insignita della menzione speciale nell’ambito del premio giornalistico svizzero Carla Agustoni. “Questo approfondimento – ha spiegato la giuria del premio organizzato da AMCA, l’Associazione per l’aiuto medico al Centro America – aiuta ad aprire gli occhi su una realtà sommersa come quella del lavoro sulle navi da crociera. L’articolo associa rigore contenutistico, interpellando tutte le parti coinvolte, a un elemento di denuncia sociale”.
Delle condizioni di lavoro sulle navi da crociera non si sente quasi mai parlare. Gli ex dipendenti di Costa Crociere citati in questa inchiesta articolo hanno scelto di farlo, con nome e cognome, perché recriminano a Costa di averli abbandonati al loro destino dopo gli infortuni, di averli usati come ferri vecchi.
Accuse che la compagnia respinge, così come nega casi di sfruttamento dei lavoratori: “Le navi sono dotate di un sistema elettronico di rilevazione delle ore lavorate per ogni membro dell’equipaggio, proprio per monitorare e garantire il rispetto delle regole. La normativa e gli accordi sindacali prevedono che ogni marittimo abbia un minimo di 10 ore di riposo in un periodo di 24 ore, e 77 ore di riposo in un periodo di 7 giorni. Peraltro, le navi Costa applicano condizioni di miglior favore rispetto a quelle stabilite dalla normativa, e nel caso di sforamenti di orari di riposo, ammissibili solo in caso di emergenze legate alla sicurezza della nave e segnalati dal sistema informatico di rilevazione degli orari di lavoro, le ore di riposo vengono compensate entro i 7 giorni successivi”.
La versione di Costa non combacia però con quella dei lavoratori intervistati. “Gli orari di lavoro effettivo”, ha detto ad esempio Silvia Benvaides, “non venivano comunicati via email, era il capo del nostro reparto a segnarli su un foglio, ma non era quello che davvero rispettavamo: dovevamo lavorare molte più ore di quelle segnate”. Questa versione è stata confermata da diversi altri ex dipendenti di Costa Crociere. Alcuni che ci lavorano ancora oggi, e per questo hanno chiesto l’anonimato, altri che intanto hanno cambiato vita.
Le condizioni non sono uguali per tutti i dipendenti, che in totale sono circa 19mila. Gli europei, a cui spettano solitamente i compiti da ufficiali di marina e quelli di relazione con i clienti, se la passano meglio rispetto a sudamericani e asiatici, cui vengono demandate le mansioni più pesanti, dalle pulizie alla cucina, dal servizio in tavola alla sala macchine.
Costa Crociere è il più grande operatore turistico italiano. Parte del Gruppo Carnival Corporation & plc, quotato alle borse di Londra e New York, è leader mondiale di settore con una flotta di 103 navi, sulle quali vige il contratto di lavoro italiano.
In teoria, l’unica differenza con gli europei è che gli extracomunitari fanno riferimento alla sezione 13 del contratto, che prevede 8 ore di lavoro dal lunedì al venerdì, più 4 ore il sabato. Ovviamente se un dipendente lavora di più ha diritto alle maggiorazioni in busta paga, ma comunque non si possono superare le 191 ore di lavoro al mese, massimale che per gli europei è di 180 ore.
Questa però è la teoria, perché nella pratica le cose vanno diversamente. Lavorare almeno 12 ore al giorno sette su sette, come dicono di aver fatto per quasi vent’anni Silvia e Wilfredo, significa arrivare a 372 ore mensili. Cucinare per 14 ore al giorno senza mai uno stop, come racconta Carlos, vuol dire fare mensilmente addirittura 434 ore. Più del doppio di quelle consentite. Divise per uno stipendio da 710 euro al mese, portano a una paga di 1,6 euro all’ora.
Succede oggi, in Italia. E i sindacalisti, interpellati nell’articolo pubblica da Fq Millenium, dicono di non saperne nulla.
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