L’Italia non è un Paese per madri. Né per l’insieme più ampio dei c.d. caregiver, coloro cioè che si prendono cura dei figli ma anche di familiari malati, anziani e/o con disabilità. I quali esprimono 1 italiano su 3, nonché il 40% della forza lavoro. Nel rapporto Istat ‘Conciliazione tra lavoro e famiglia, anno 2018’, pubblicato il 18.11.19, lo scenario del disastro sociale italiano. (1)
Precarietà e contratti a termine riducono drasticamente, nei fatti, le chance di mantenere il lavoro dopo la maternità. Non è un caso se il tasso di occupazione delle madri con figli piccoli (57%, nella fascia di età 25-54) sia inferiore alla media femminile (72,1%).
Le donne che non hanno mai lavorato per potersi prendere cura di almeno un figlio sono il triplo, in Italia (11,1%), rispetto alla media in Unione europea (3,7%). Addirittura, nel Mezzogiorno, ‘una donna su cinque con almeno un figlio dichiara di non aver mai lavorato per potersene prendere cura’.
I tassi di occupazione più bassi si registrano tra le madri di bimbi in età prescolare, ‘53% per le donne con figli di 0-2 anni e 55,7% per quelle con figli di 3-5 anni’. Con abissali differenze:
– tra il Sud Italia (35,9%) e il resto del Paese (65,1% al Centro e 69,4% al Nord),
– in relazione al titolo di studio. Supera l’80% il tasso di occupazione delle madri laureate, a fronte del 34% di quelle con titolo di studio pari o inferiore alla licenza media.
Le difficoltà di conciliazione sono più evidenti nei primi 5 anni di età dei bambini. Ostacoli si registrano nel 46,7% delle donne che lavorano a tempo pieno, (39% di quelle a part-time) con bambini in età prescolare (quasi un milione e 300 mila in tutto).
Le madri italiane – quand’anche riescano a lavorare ‘nonostante i figli’ (e le discriminazioni di molti datori di lavoro) – sono spesso costrette a ridurre gli orari e/o cambiare mansioni. Ciò che accade nel 38,3% dei casi, in presenza di prole infra-15enne. E in misura inferiore (11,9%) anche ai padri. Con pregiudizio alla retribuzione e alle opportunità di carriera, che vanno ad aggravare il gender gap.
‘Tra i genitori occupati con figli minori di 15 anni il 35,9% delle madri e il 34,6% dei padri lamentano problemi di conciliazione tra il lavoro e la famiglia. Poco meno di un terzo dei nuclei familiari con figli minori usa i servizi, il 38% conta sull’aiuto di familiari, soprattutto dei nonni, oppure di amici’. (1)
Lo Stato, le Regioni e i Comuni latitano. I servizi per l’infanzia , pubblici e privati, sono accessibili solo a tre famiglie su dieci. E questi ultimi sono comunque onerosi, insostenibili per le non poche famiglie – una su tre in Italia – che già ora, in presenza di figli minori, si trovano a rischio di povertà o esclusione sociale. La rete di salvataggio è così rappresentata da nonni, parenti e amici.
‘Il 31% dei nuclei familiari con figli coabitanti di 0-14 anni si avvale regolarmente per almeno uno dei figli di servizi pubblici o privati, come asili nido, scuole materne, pre o post scuola, ludoteche, baby-sitter o altro. La percentuale è più alta al Nord (34,5%) e al Centro (33,3%), più bassa nel Mezzogiorno (24,9%). All’aiuto per la cura fornito regolarmente da parenti o amici ricorre il 38% dei nuclei familiari con figli di 0-14enni, in nove casi su dieci a dare il supporto sono i nonni (34,4%)’.
12 milioni e 746 mila persone tra i 18 e i 64 anni – vale a dire più di un terzo degli abitanti in Italia (34,6%), quattro lavoratori su dieci – nel 2018 hanno avuto cura di figli minori di 15 anni ovvero di parenti malati, disabili o anziani.
‘Tra gli occupati, quasi il 40% dei 18-64enni svolge attività di cura. Essere impegnati in un’attività lavorativa e allo stesso tempo doversi occupare di figli piccoli o parenti non autosufficienti comporta una modulazione dei tempi da dedicare al lavoro e alla famiglia che può riflettersi sulla partecipazione degli individui al mercato del lavoro, soprattutto delle donne, le quali hanno un maggiore carico di tali responsabilità’.
Oltre 2 milioni e 800 mila sono le persone che prestano regolarmente ‘attività di cura’ a figli over-15 o altri parenti in quanto malati, disabili o anziani. (2) La responsabilità di cura grava sul 9,4% delle donne e il 5,9% degli uomini tra i 18 e i 64 anni. Con prevalenza nella fascia d’età 45-64 anni (12,2%) e tra gli ‘inattivi’ (9%).
I caregiver – gli ‘angeli’ di familiari malati, anziani e/o con disabilità – suppliscono alle inaccettabili carenze del sistema pubblico. La Repubblica italiana ha infatti il dovere di fornire un’assistenza appropriata a coloro che versino in condizioni di malattia e disabilità, sulla base delle Convenzioni ONU puntualmente ratificate.
Lo Stato viene però sistematicamente meno ai propri doveri di assistenza sociale ed è solo grazie all’impegno dei care-giver che le persone svantaggiate possono vivere con dignità. Questi benefattori nei casi più gravi sono costretti a rinunciare al lavoro ed entrano così nella categoria degli ‘inattivi’, nel cinismo della statistica. Il loro sacrificio supplisce alla latitanza delle istituzioni, che tuttavia li lasciano privi di alcuna forma di tutela. (3) Sotto entrambi i profili del reddito e della previdenza.
La beffa ai caregiver familiari è costituita dalla mancata attuazione delle misure stabilite nella legge di bilancio 2018. (4) Ove per la prima volta, meglio tardi che mai, è stato istituito il ‘Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare’. (5) La citata legge ha invero previsto una dotazione annuale – per il triennio 2018-2020 – di 20 milioni di euro.
Il Ministero dell’Economia e Finanze tuttavia – nei due anni e tre governi frattanto trascorsi – non ha adottato il decreto indispensabile a reperire in bilancio le risorse per finanziare il c.d. ‘Fondo Caregiver’. L’INPS, a sua volta, ha omesso di pubblicare la circolare necessaria a definire le modalità di accesso al predetto fondo.
La politica e i vertici della pubblica amministrazione in Italia non devono solo vergognarsi, per la violazione dei diritti umani fondamentali e le omissioni di atti d’ufficio di cui sopra. Devono piuttosto smettere di ingannare gli elettori ed eseguire il loro lavoro.
#Égalité!
Dario Dongo e Sabrina Bergamini
(1) Istat (2019). Conciliazione tra lavoro e famiglia, anno 2018
(2) Per ‘attività di cura’ si intendono quelle fornite regolarmente:
– nei confronti dei bambini, le cure personali (aiuto a lavarsi, vestirsi, mangiare, etc.), l’accompagnamento a scuola, gli aiuti nei compiti scolastici, le attività di compagnia (es. gioco, lettura di favole), attività di sorveglianza o di gestione quotidiana, etc.
– nei confronti dei familiari over-15 anni e malati, disabili o anziani, le prestazioni sanitarie (es. iniezioni, medicazioni, etc.), accudimento e assistenza (aiuto a lavarsi, vestirsi, mangiare, etc.), aiuto nelle attività domestiche (es. lavare, stirare, fare la spesa, preparare i pasti, ecc.), compagnia, accompagnamento, espletamento di attività lavorative extra-domestiche, aiuto nello studio, etc.
(3) Le misure stabilite quasi 30 anni fa con la legge 104/1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) consentono al caregiver alcune facilitazioni e permessi di lavoro per l’assistenza del familiare invalido. Ma tali permessi presuppongono che, al di fuori di quelle ore di permesso, l’invalido grave riceva un servizio pubblico gratuito di cura e assistenza. Ciò che purtroppo non avviene, al di là delle ipotesi di ricoveri in ospedali o strutture dedicate
(4) Cfr. legge 205/17, articolo 1, comma 254-256
(6) ‘Si definisce caregiver familiare la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18’ (legge 205/17, articolo 1, comma 255)
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.