I cambiamenti climatici colpiscono tutto il mondo ma non colpiscono tutti allo stesso modo. Ingiustizia climatica e ingiustizia sociale vanno di pari passo. Eventi meteo estremi, alluvioni, inondazioni, siccità, distruzione degli ecosistemi, innalzamento delle temperature, insieme all’impoverimento del suolo e a fenomeni di accaparramento delle risorse, colpiscono in modo più devastante i paesi poveri (nonostante siano quelli ricchi i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra), la popolazione più povera dei paesi ricchi, i bambini soprattutto nei paesi a basso e medio reddito, le bambine, i minori sfollati e migranti. La crisi del clima accentua le migrazioni causate da eventi meteo estremi o di lungo periodo, per quanto vasto e sfumato possa essere il fenomeno.
C’è ancora di più. La mappa dei paesi più vulnerabili alla crisi climatica si sovrappone alla mappa dei paesi che soffrono situazioni di conflitto e guerra e alla mappa dei paesi dai quali la popolazione è in fuga.
La crisi del clima fa aumentare i migranti climatici, o rifugiati climatici. Fare una stima esatta è forse impossibile, considerata anche l’assenza di una definizione condivisa di migranti climatici e soprattutto di un riconoscimento nella legislazione internazionale. Ma si parla di numeri che variano da un minimo di 25 milioni fino a 1 miliardo di persone costrette a migrare entro il 2050 per cause riconducibili alla questione climatica e ambientale.
A tracciare una sintesi è il dossier I migranti ambientali. L’altra faccia della crisi climatica, con cui Legambiente fa il punto della crisi in atto sulla base dei dati finora noti. (1)
I cambiamenti climatici non sono uguali per tutti e non lo saranno neanche in futuro. Colpiscono, come detto, soprattutto i paesi poveri e i poveri dei paesi ricchi. Ingiustizia climatica e ingiustizia sociale si saldano e la migrazione diventa la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici messa in pratica da chi non ha altra alternativa che fuggire dalla povertà e da tutte le sue forme.
Quanti fuggono? Secondo Global Trends dell’UNHCR 82,4 milioni di persone sono state costrette a migrare nel 2020, quasi il doppio rispetto al 2010. Di questi, poco meno della metà (il 42%) sono minori. In dieci anni le persone costrette a migrare sono quasi raddoppiate e sono aumentate di oltre il 16% nel confronto col 2018 (quando erano 70,8 milioni).
Ma se i contorni del fenomeno ‘migranti ambientali’ sono sfumati perché questa figura non ha riconoscimento internazionale, sono più precisi i numeri degli sfollati interni. Sono le persone costrette ad abbandonare la propria terra ma che rimangono nei confini nazionali. Gli sfollati interni fuggono soprattutto per fenomeni quali terremoti, inondazioni, siccità, desertificazione e incendi.
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC) ‘durante il 2020 si sono registrati 40 milioni e mezzo di nuovi sfollati interni, di cui 30 milioni e 700 mila persone sono state obbligate a fuggire a causa di disastri ambientali; 9 milioni e 800 mila persone a causa di violenze e conflitti’.
La crisi è in atto ma quantificarla non è facile, anche perché è difficile misurare quei processi lenti di trasformazione e degradazione dell’ambiente che si spalmano sul lungo periodo e che, giocoforza, si intrecciano con altre questioni come l’aumento della conflittualità, lo scoppio di guerre e persecuzioni, gli scontri per contendersi risorse naturali sempre più insufficienti come l’acqua e la terra.
Tutto questo spiega anche la difficoltà di inquadrare con numeri precisi i migranti ambientali da qui al 2050.
Secondo alcune stime della Banca Mondiale, in uno scenario sostanzialmente privo di azione (senza misure significative per ridurre le emissioni e con processi di sviluppo iniqui) dalle tre macro regioni Africa sub-sahariana, Sud Asia e America Latina nel 2050 ci saranno circa 143 milioni di persone costrette a migrare. In uno scenario più ottimista, con politiche sostenibili e un riscaldamento globale contenuto sotto i 1,6 gradi, i migranti forzati da queste regioni sarebbero fra 31 e 72 milioni. In uno scenario intermedio, ci sarebbero da 65 a 105 milioni di migranti climatici. Altre stime parlano di 200 milioni di migranti climatici da qui al 2050.
C’è un insieme diverso di cause alla base delle migrazioni: conflitti e persecuzioni, catastrofi ambientali improvvise o fenomeni di deterioramento degli ecosistemi che si spalmano su tempi lunghi.
Ma già si può vedere che la mappa dei paesi vulnerabili ai cambiamenti climatici si sovrappone a quella dei paesi che vivono guerre e conflitti e a quella dei paesi da cui la popolazione fugge. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre, ‘il 95% dei conflitti registrati nel 2020 sono avvenuti in paesi ad alta o altissima vulnerabilità ai cambiamenti climatici e degrado ambientale’.
Basta guardare all’Africa subsahariana dove si mescolano desertificazione, accaparramento dei suoli, perdita di ecosistemi, guerriglia, instabilità. La stessa guerra civile in Siria ha avuto un ‘innesco climatico’ a causa di una forte siccità.
Se si guarda ai flussi migratori verso l’Italia e nel dettaglio agli arrivi via mare degli ultimi quattro anni, prosegue il dossier di Legambiente, ‘quasi il 38% delle nazionalità dichiarate dai migranti sono riconducibili all’area del Sahel, regione che, come è noto, è attraversata da una vera e propria tempesta ambientale e sociale, tra l’avanzare della desertificazione, l’accaparramento delle risorse e i conflitti anche di matrice terroristica’.
Almeno il 68% dei migranti sbarcati in Italia dal 2017 al 2020, quasi sette su dieci, vengono da aree molto vulnerabili al cambiamento climatico, come Costa d’Avorio, Guinea, Bangladesh, Pakistan.
‘Possiamo ritenere, con ragionevole possibilità di non andare troppo lontano dalla verità, che almeno il 76% dei flussi migratori verso il nostro paese sono dovuti a cause o concause ambientali‘.
I cambiamenti climatici colpiscono i bambini nati oggi più dei loro nonni e genitori. E i bambini dei paesi poveri più degli altri.
Come denuncia Save the Children, ‘i bambini nati nel 2020 saranno esposti a fenomeni climatici estremi molto più che in passato. Le ondate di calore eccessive li colpiranno in media 7 volte di più rispetto ai loro nonni. I neonati di oggi subiranno anche 2,6 volte in più la siccità, 2,8 volte in più le inondazioni dei fiumi, quasi 3 volte in più la perdita dei raccolti agricoli e il doppio degli incendi devastanti’. (2)
Sono a rischio assistenza sanitaria e istruzione dei più piccoli. Sono a rischio i bambini dei paesi più poveri rispetto alle altre aree del mondo, le bambine più dei bambini, i bambini migranti più degli altri. ‘I bambini dell’Africa subsahariana dovranno affrontare 2,6 volte più perdite nei raccolti rispetto ai loro coetanei, e i bambini del Medio Oriente e del Nord Africa fino a 4,4 volte di più. Alcuni di questi bambini corrono il rischio di subire questi disastri simultaneamente o in rapida successione, con l’effetto indiretto di rimanere intrappolati in una spirale di povertà a lungo termine’.
Sabrina Bergamini
I migranti ambientali. L’altra faccia della crisi climatica, Legambiente 2021
https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/09/I-migranti-ambientali_dossier_2021.pdf
Nati in crisi climatica. Perché dobbiamo agire subito per proteggere i diritti dei bambini e delle bambine, Save the Children 2021. Comunicato stampa e dossier:
https://www.savethechildren.it/press/crisi-climatica-i-bambini-nati-oggi-esposti-7-volte-pi%C3%B9-rispetto-ai-nonni-ondate-di-calore-26