Manlio Dinucci e Carla Pellegrino ci fanno omaggio di SOS Ambiente – per uno sviluppo sostenibile in un mondo senza guerra. Rischi e prospettive per il pianeta e chi lo abita. Un mondo equo e pacifico è ancora possibile, ma richiede un impegno collettivo. Alcuni brevi spunti su un libro da non perdere. (1)
La biosfera – quella pellicola che riveste il pianeta Terra, dai tremila metri sotto il mare ai mille sopra la superficie – racchiude il patrimonio della vita da circa 4 miliardi di anni. Ma l’uomo, evoluto dai primati 7 milioni di anni fa, in due soli secoli è divenuto fattore primario nell’alterazione significativa della biosfera. Introducendovi pure elementi che potrebbero farla scomparire in pochi giorni o mesi, con l’apocalisse nucleare.
Deforestazioni e degradazione dei suoli, contaminazione chimica e desertificazione aumentano la pressione sulle risorse destinate a nutrire una popolazione ancora in crescita. 7,7 miliardi è la stima del 2019, 8,5 e 9,7 le previsioni al 2030 e 2050, rispettivamente. La biodiversità da cui dipendono le risorse indispensabili alla vita, invece, è in caduta netta. Una ragione in più per proteggere gli habitat naturali e conservare traccia di quanto rimane nelle banche genetiche.
L’atmosfera – il sottile involucro d’aria che in appena 40 km dal suolo offre il 99% dei gas a noi necessari – è a sua volta afflitta da un’economia basata sui combustibili fossili, che ancora forniscono l’85% dell’energia primaria (!). La cui produzione, si noti bene, è raddoppiata negli ultimi 4 decenni. Il petrolio rimane al primo posto, seguito da carbone fossile e gas naturale. Il che aiuta a spiegare alcuni dei motivi dello European Green Deal.
Le deforestazioni, ancora una volta, contribuiscono in misura rilevante sia al cambiamento climatico, attraverso le emissioni di gas-serra sia all’inquinamento atmosferico. Così, al buco dell’ozono che raggiunge i record ai due poli si accompagnano lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento dei mari e i fenomeni climatici estremi. Alluvioni e siccità.
L’inquinamento atmosferico si compone di gas e polveri sottili (PM, particulate material). Particelle minuscole, solide e liquide, di diametro inferiore a 10 micron (millesimi di millimetro), le quali contengono migliaia di sostanze chimiche che penetrano i tessuti e possono provocare gravi malattie. La soglia di pericolo, definita in una concentrazione di PM pari a 40 microgrammi per metro cubo, viene spesso superata anche in molte aree urbane europee.
L’irresponsabilità di sistema tuttora consente ai Paesi del Nord del mondo di riversare al Sud gli scarti dei loro consumi esasperati. Il flusso di residui di apparecchi elettronici, rottami metallici e materie plastiche si stima in 20 milioni di container/anno, traffici illegali inclusi, soltanto dall’Europa verso Africa e Asia. Ove decine di migliaia di lavoratori affamati, senza tutele né dispositivi di protezione individuale, demoliscono ogni cosa e recuperano i materiali.
All’acqua l’uomo non fa mancare proprio nulla, dalle microplastiche ubiquitarie ai residui di agrotossici in quelle di falda e superficie. La crisi idrica più grave è però legata alla sua carenza. Lo stress idrico attualmente affligge circa 2 miliardi di persone, soprattutto in Africa e Asia. Ma arriverà a colpire 4 miliardi di persone entro II 2030, secondo un rapporto ONU.
L’impronta idrica delle produzioni – vale a dire, l’acqua consumata per produrre una merce – è in genere legata all’efficienza dei processi. E tuttavia viene spesso ‘delocalizzata’nei Paesi del Sud del mondo. Così che, ad esempio, la soia OGM prodotta in Brasile con abuso di pesticidi d’ogni sorta valga a nutrire le vacche da latte padane bensì sottragga e inquini l’acqua in Amazzonia.
L’acqua è un bene comune, in teoria. Ma alla privatizzazione delle forniture pubbliche (che spesso cadono in mani francesi) si aggiunge talora il problema dello sfruttamento eccessivo delle falde da parte dei colossi industriali che le imbottigliano, Nestlé in testa. Il water grabbing e i conflitti internazionali sull’acqua sono del resto noti e tendono ad acuirsi, se pure ignorati dalla politica e taciuti dalla stampa.
L’industria elettronucleare, che ha raggiunto il suo massimo sviluppo negli anni ‘80 del secolo scorso, ‘nasce come ricaduta tecnologica del nucleare militare’ ed è funzionale al suo sviluppo. Permettendo alle grandi potenze nucleari di produrre materiale fissile (plutonio, uranio arricchito) – in quantità non facili da controllare con esattezza da parte della IAEA (2) – e ammortizzare parte dei costi mediante la vendita di energia e centrali.
L’impatto ambientale degli impianti nucleari civili (e in misura assai maggiore quello degli impianti di arricchimento e trattamento dei combustibili nucleari) è di per sé meritevole di attenzione nel loro normale funzionamento. Poiché l’esposizione alla radioattività in dosi considerate ‘sicure’, secondo alcuni studi epidemiologici, può aumentare le probabilità di malattie gravi (quali tumori e alterazioni genetiche).
Le centinaia di guasti e incidenti registrate nei decenni hanno peraltro provocato le maggiori emissioni di radioattività, con danni alla salute pubblica sfuggiti al pubblico dominio. E un paio di certezze, l’inattendibilità delle promesse di sicurezza degli impianti e l’impossibilità di controllare i danni (come dimostra il caso di Fukushima, 2011). (3)
L’arsenale nucleare costruito durante la Guerra Fredda aveva consentito a ciascuna delle due superpotenze di raggiungere il livello MAD, mutually assured destruction. Al costo di eseguire test nucleari equivalenti a diverse centinaia di Hiroshima, sui loro stessi territori. Con emissioni radioattive – che si aggiungono a quelle di impianti nucleari militari, incidenti e scorie utilizzate nella produzione di materiale bellico – di cui è difficile stimare l’impatto complessivo sulla salute delle popolazioni di allora e delle generazioni successive. Milioni di morti causate dai soli esercizi di guerra.
Le testimonianze dei ‘veterani nucleari’, i dati sulle contaminazioni di atmosfera, terre e bacini idrici, la prevalenza di tumori infantili nelle aree interessate dai singoli eventi aggiungono colore alle proiezioni apocalittiche hanno indotto i protagonisti di allora a concludere il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, nel 1968. La Federation of American Scientists (FAS), nondimeno, ha stimato in 15 mila testate la consistenza complessiva degli arsenali nucleari al 2017. Quanto basta a scomparire tutti.
Come un coniglio dal turbante (o dall’elmetto bianco), armi chimiche come i gas nervini sviluppati al principio del secolo scorso sono riapparse negli ultimi anni in alcuni teatri di guerre sporche. A dispetto della Convenzione sulla messa al bando delle armi chimiche e biologiche (in vigore dal 29.4.97), vi sono indizi del proseguimento delle ricerche anche su queste ultime (microrganismi in grado di scatenare epidemie).
Le nuove frontiere sono armi a energia diretta, che colpiscono l’obiettivo con forme di energia non-cinetica (radiazioni elettromagnetiche, plasma a elevata energia, raggi laser). Droni e aerei robotizzati, armi laser, sistemi spaziali e mezzi di guerra elettronica vengono integrati per accrescere le capacità di attacco nucleare. Guerra spaziale, ma anche armi nucleari miniaturizzate e nanometriche.
L’uso militare del 5G consente del resto di intuire gli interessi sottesi allo scontro in essere tra USA e Cina sulla diffusione delle relative tecnologie. Le quali possiedono una capacità fino a mille volte superiore a quella del 4G, con effetti nocivi su salute e ambiente legati all’esposizione continua a campi elettromagnetici a bassa frequenza. Le bombe climatiche sono altresì oggetto di preoccupazione da parte degli scienziati. (4)
L’Assemblea generale ONU ha adottato, nel 2015, la Risoluzione ‘Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile’. La quale comprende i fatidici 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs), che la Risoluzione indica come ‘interconnessi e indivisibili‘, per bilanciare ‘le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: la dimensione economica, sociale e ambientale’. Per realizzare tali obiettivi, si sottolinea, occorrono ‘società pacifiche e inclusive’ e un ‘partenariato mondiale’.
Le diseguaglianze tra i popoli e all’interno delle popolazioni rimangono la questione cruciale. Senza previa garanzia dei beni essenziali all’esistenza di ogni individuo del pianeta, nessuno escluso sui beni essenziali all’esistenza, nessuno escluso, lo sviluppo non può esistere. Non a fronte di 2 miliardi di persone ancora afflitte da fame, malnutrizione cronica e denutrizione, o di … di assetati. Né di 1 miliardo di analfabeti, agli albori del 3° millennio.
A Manlio Dinucci si deve anche la petizione – che invitiamo tutti a consultare e sottoscrivere, seguendo questo link – volta a fare uscire l’Italia dalla NATO. Per due semplici ragioni:
– sono venuti definitivamente meno i presupposti su cui la NATO venne fondata (l’ipotetica ‘minaccia sovietica’),
– l’organizzazione è divenuta lo strumento per condurre azioni militari incompatibili sia con gli obiettivi ONU, sia con la Costituzione della Repubblica italiana.
Un mondo migliore è possibile, senza aggiungere il nostro nome alle ingiustificate guerre altrui. Le cui prime vittime, come si è visto, sono proprio i bambini.
Dario Dongo
Note
(1) Manlio Dinucci e Carla Pellegrini. SOS Ambiente – per uno sviluppo sostenibile in un mondo senza guerra (Edizioni La Vela, Viareggio, 2019. 135 pagine, 10€)
(2) IAEA (International Atomic Energy Agency) è l’organizzazione autonoma intergovernativa costituita nel 1957, sotto l’egida delle Nazioni Unite (ONU), per ‘fornire abbondante energia elettrica alle aree del mondo affamate di energia’.
(3) Nel 2017 il governo giapponese ha comunicato che serviranno almeno 4 decenni e 200 miliardi di dollari per smantellare la centrale e bonificare la zona. V. libro SOS Ambiente in nota 1, pagine 83-86
(4) V. libro SOS Ambiente, pagine 106-110
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.